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STATUTO
STORIA DEL RORSCHACH IN ITALIA E DELL’ASSOCIAZIONE ITALIANA RORSCHACH
A cura di Dolores PASSI TOGNAZZO
(Presidente Emerito Ass. It. Rorschach)
Nel 1949, dopo aver superato i disastrosi effetti delle due guerre mondiali (1914-18 e 1939-45), gli studiosi delle diverse discipline scientifiche iniziano a confrontarsi tra loro ed hanno luogo i primi Congressi internazionali. Sul metodo Rorschach il primo incontro internazionale ha sede a Zurigo, appunto nel 1949, dove viene fondata la Società Internazionale (I.R.S.). Come Presidente viene eletta Margherita Loosli-Usteri, nota studiosa ginevrina che si occupa del reattivo da circa vent’anni. Risale infatti al 1929 la sua prima ricerca col metodo Rorschach su gruppi di preadolescenti di 10-13 anni.
A questo primo Congresso partecipano dall’Italia Ferdinando Barison e Carlo Rizzo, che a loro volta nello stesso anno danno vita alla Società Italiana Rorschach (S.I.R.), alla cui presidenza viene designato Barison. In seguito la carica passa a Rizzo, poiché Barison riteneva più adeguato che la sede della presidenza fosse a Roma. Rizzo ricopre tale carica fino al 1982, anno della sua morte. Nel 1948 egli aveva avviato una scuola di Rorschach – denominata Scuola Romana Rorschach – con il patrocinio della Clinica neuropsichiatrica dell’Università di Roma, presso la quale collaborava come libero docente e aiuto volontario.
A loro volta Ferdinando Barison – direttore dal 1947 dell’Ospedale Psichiatrico di Padova e docente incaricato nelle Scuole di specializzazione in Clinica delle malattie nervose e mentali e in Psicologia – e Amedeo Dalla Volta – direttore dell’Istituto di Psicologia dell’Università di Genova – hanno formato, fra i loro allievi e collaboratori, numerosi specialisti in psicodiagnostica proiettiva. In tal modo negli anni ’40 e ’50 si diffonde in Italia la conoscenza del metodo e, conseguentemente, vengono pubblicati numerosi lavori riguardanti sia la ricerca statistica sia gli studi clinici. Nel 1958 Silvano Chiari pubblica una Bibliografia Italiana Rorschach aggiornata sino a tutto l’anno precedente, da cui risultano complessivamente 204 pubblicazioni a stampa nell’arco di vent’anni (1937-57).
Alla rapida diffusione del metodo Rorschach in Italia consegue la decisione di tenere a Roma il terzo Congresso internazionale, nel 1956. I lavori sono introdotti da Margherita Loosli-Usteri (scomparsa due anni dopo) con una brillante conferenza, pubblicata in Rorschachiana V, 1956. A questo Congresso il Comitato ordinatore, presieduto da Mario Gozzano, era costituito da Carlo Rizzo e Leandro Canestrelli, vicepresidenti. I lavori congressuali erano stati aperti, come appena detto, dalla Loosli-Usteri. Presidente onorario del Congresso era Walter Morgenthaler, l’amico e collega di Hermann Rorschach che si era prodigato per aiutarlo a pubblicare il suo Psychodiagnostik. Vale la pena di annotare che Morgenthaler aveva faticato parecchio per convincere Hermann Rorschach a dare questo titolo alla sua monografia. L’autore voleva chiamarla, più modestamente, Metodo e risultati di un esperimento diagnostico di percezione. Interpretazione di forme fortuite. Alla fine questo divenne il sottotitolo (Andronikof, 1999). Ma forse non si trattava solo di modestia, bensì di un’esigenza epistemologica: negli anni ’20, infatti, la psichiatria e la psicologia dovevano dimostrare di far parte delle Scienze esatte (scienze con la esse maiuscola) e non di quelle umanistiche.
Al Convegno di Roma erano presenti poco più di 100 congressisti, di cui 55 italiani. Seguivano i francesi con 25 presenze. Ci si può chiedere se i 50 partecipanti italiani e, in particolare, i 30 connazionali che hanno presentato a questo Congresso una o più relazioni (per esempio Ossicini ne presentava due, Basaglia sei) avessero adottato o meno una metodologia omogenea nell’utilizzare il reattivo. Silvano Chiari, che nella sua Bibliografia italiana (1958) include le comunicazioni presentate a Roma due anni prima, ritiene “necessaria una maggior unitarietà nell’impostazione metodologica dei ricercatori (…) un’uniformità sperimentale, che è premessa indispensabile perché ogni singolo sforzo sia qualcosa di più di un personale isolato contributo” (op. cit., pp. 3-4).
Questo problema delle differenze metodologiche non è solo dell’Italia e non è riferibile soltanto agli anni ’50. Comunque la critica era fondata, tanto più che gli stessi organizzatori del Congresso avevano previsto, in chiusura, una riunione dei gruppi di studio sul tema Standardizzazione dei criteri di siglatura e di valutazione del metodo Rorschach. Ovviamente non si trattava solo di uniformare la siglatura.
Qualche anno dopo, nel 1963, Amedeo Dalla Volta in un lavoro pubblicato con la sua allieva Graziella Zecca in Rorschachiana VIII, lavoro che si configura come una rassegna sintetico-critica delle più importanti ricerche italiane eseguite col metodo Rorschach, ne rileva l’aspetto positivo nella varietà e originalità dei temi trattati e nell’importanza intrinseca della maggior parte dei lavori di ricerca. Tuttavia riconosce qualche limite “legato soprattutto al carattere soggettivo dell’applicazione del test come strumento di valutazione della personalità totale” e osserva inoltre che mancano ancora “dati decisivi per la soluzione del problema della validazione del test” (pp. 80-81).
Ecco quindi presentarsi il problema della validazione psicometrica, nonostante l’accertata utilità del reattivo sia in campo clinico che della ricerca. Va ricordato che quanto riportato è stato scritto nei primi anni ’60. E’ quantomeno curioso che proprio nel decennio in cui stava avanzando da più parti la contestazione verso i poteri istituzionali – ivi comprese le etichette nosografiche, vale a dire le diagnosi psichiatriche e psicologiche, eseguite anche con l’uso dei test – fosse così sentita l’esigenza della validazione psicometrica di una tecnica proiettiva. Tanto più che già da tempo il reattivo di Rorschach veniva considerato un metodo per la diagnosi della personalità non più soltanto di tipo strutturale, ma anche con caratteristiche affini ai test proiettivi tematici: uno strumento con cui si poteva valutare, oltre che gli aspetti relativi alla struttura di personalità, anche quelli più specificatamente psicodinamici e relazionali.
Su queste differenze metodologiche, rilevate da Chiari nel 1958 e da Dalla Volta nel 1963 (se ci si riferisce a quelle limitate alla siglatura delle risposte e all’interpretazione essenziale), credo che in Italia si sia iniziato ad avvertire la necessità di unificazione dei metodi a partire dalla fine degli anni ’70. Fintantoché i test proiettivi erano conosciuti e utilizzati da un numero limitato di specialisti, le piccole diversità non erano vere divergenze. Fino agli anni ’70, infatti, la metodica Rorschach si apprendeva, si utilizzava e si insegnava usando un linguaggio, se non proprio comune, almeno comprensibile a tutti gli interlocutori. Il metodo di siglatura e di valutazione era quello ortodosso di Hermann Rorschach, con le opportune integrazioni mutuate da Klopfer, sia pure in una prospettiva europea svizzero-francese.
Ma a partire dal 1975 si diplomano nelle Università di Roma e di Padova i primi laureati in Psicologia. Si tratta dapprima di centinaia e poi di migliaia di persone, teoricamente abilitate alla psicodiagnostica non essendo ancora stato introdotto l’esame di abilitazione alla professione. Ne consegue un’ulteriore diversificazione delle modalità di utilizzare il reattivo, a volte pure in maniera scorretta.
Con ogni probabilità anche negli altri Paesi europei e americani le cose sono andate più o meno nello stesso modo, tanto più che col passare degli anni i caposcuola storici andavano scomparendo. Perciò un po’ dovunque l’eccessiva diffusione e il sorgere di nuove scuole, talvolta improvvisate, trasforma il linguaggio Rorschach in una specie di torre di Babele (Weiner, 1993) con differenti sistemi di siglatura e diversi approcci teorici nel modulare l’interpretazione.
In Italia, dopo la morte di Carlo Rizzo, per iniziativa del professor Augusto Ermentini (direttore della Clinica psichiatrica di Brescia) e della dottoressa Liana Valente Torre (dell’Università di Torino) si costituisce l’AIPRA (Associazione Italiana per il Rorschach e Altre tecniche proiettive). Oltre agli esperti di Brescia e di Torino, aderiscono all’AIPRA i gruppi del Veneto dell’Università di Padova e di Verona, quelli formatisi all’Università di Genova, alcuni studiosi di Roma che non si riconoscono più nella nuova Scuola Romana Rorschach fondata da Carlo Rizzo, alcuni colleghi della Sicilia (per lo più allievi del professor Salvatore Settineri dell’Università di Messina e nostro Presidente fino al 2014), più altri studiosi italiani, allievi della Scuola di Parigi Descartes attualmente diretta da Catherine Chabert (i cui capostipiti sono stati Didieu Anzieu, Nina Rausch, Vica Shentoub). Tra i colleghi formatisi a Parigi mi piace citare la professoressa Tiziana Sola, attuale Presidente della nostra associazione.
Qualche anno dopo ci siamo accorti che la Presidenza dell’AIPRA non consentiva frequenti scambi tra i soci, tranne quando si riuniva la Società Italiana di Psichiatria, entro cui una sessione era dedicata alla psicodiagnostica proiettiva. Così i soci di Padova prendono l’iniziativa di indire un’assemblea, che nomina un nuovo Presidente (la scrivente, in carica da allora sino al 2004) e un nuovo consiglio direttivo, semplificando davanti a un notaio sia lo statuto, sia il nome in quello attuale: ossia Associazione Italiana Rorschach.
Dopo essere rimasta per alcuni anni a Padova, la Presidenza – come già detto – si trasferisce a Messina con a capo il professor Salvatore Settineri. A lui va riconosciuto il merito di aver trasferito, durante il suo incarico, le riunioni consiliari e numerosi Convegni nazionali e internazionali a Roma, città a metà strada fra il nord e il sud Italia, e in cui risiede uno dei vicepresidenti, Paolo Capri, che aveva aderito alla nostra associazione non riconoscendosi più nell’attuale Scuola Romana Rorschach.
Ricordiamo infine che, dopo essere stato messo in atto anche un tentativo, rivelatosi fallimentare, di unificare in un’unica associazione la nostra e l’attuale Scuola Romana, in Italia recentemente ne sono state riconosciute dalla Società Internazionale solo tre: l’Associazione Italiana Rorschach (entro cui si diversificano ancora modi diversi di siglatura), quella exneriana e la Scuola Romana Rorschach (che ormai del suo fondatore ha mantenuto solo il nome).
Inoltre è risorta dalla proprie ceneri l’Accademia Lombarda Rorschach, che aveva contribuito a diffondere tempo fa il metodo Exner traducendone il volume del 1986, e che ora si chiama Accademia Italiana Rorschach. L’acronimo AIR, che si riferisce a questa associazione come alla nostra, potrebbe confondere le idee a qualcuno. Ecco perché è necessario utilizzare il nome per intero per il nostro gruppo di studio e ricerca.
BIBLIOGRAFIA
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